Gli studi sulle proprietà elettriche della materia, iniziati nella prima metà del Settecento, erano rivolti soprattutto ad indagare fenomeni “appariscenti” quali scintille, scariche elettriche e fulmini.
L’elettrostatica, ovvero lo studio delle proprietà elettriche della materia, occupa un posto rilevante nei gabinetti didattici ottocenteschi. Le cariche elettriche, prodotte con macchine elettrostatiche a disco o a strofinio, accumulate nelle bottiglie di Leyda, potevano essere trasferite su conduttori di varia forma per effettuare esperienze spettacolari.
Fu lo scienziato francese Charles Augustin de Coulomb (Angoulême, 1736 – Parigi, 1806) a porre le basi della teoria matematica dell’elettricità, formulando la legge sulle forze di interazione fra cariche elettriche scoperta con la bilancia di torsione, strumento da lui ideato.

L’invenzione della pila nell’anno 1800 da parte di Alessandro Volta (Como, 1745 – Comnago Volta, 1827), rendendo disponibile la corrente elettrica in modo continuo, determinò il fiorire di ricerche sulla conduzione elettrica nei materiali e sugli effetti prodotti dalla corrente; allo stesso tempo, furono ideate pile con elettrodi di vario tipo e immersi in acidi diversi, per ovviare agli inconvenienti della pila di Volta e ottenere voltaggi sempre maggiori. Resistenze elettriche, condensatori, pile di vario tipo andarono ad arricchire i laboratori didattici.

La scoperta, avvenuta negli anni venti dell’Ottocento da parte di Christian Oersted (1777-1851), delle interazioni fra corrente elettrica e campo magnetico, e quella dell’induzione elettromagnetica da parte di Michael Faraday (1791-1867) nel 1831, portarono all’invenzione di moltissime applicazioni tecnologiche che determinarono un grande progresso.
Entrarono nei Gabinetti di Fisica per essere presentati agli studenti i modelli dell’elettrocalamita, del motore elettrico, del semplice campanello elettrico, del telefono, del telegrafo – sistemi rivoluzionari per le comunicazioni – dei generatori elettrici di corrente variabile.

Le applicazioni tecnologiche scaturite dalle scoperte riguardanti i fenomeni elettrici hanno determinato una evoluzione vertiginosa della tecnica soprattutto negli anni ‘90 dell’Ottocento.
Il progresso industriale, legato all’utilizzo dell’elettricità quale forza motrice, ha richiesto intensità di corrente e tensioni sempre più elevate e indotto la nascente industria elettromeccanica a produrre apparecchi di misura dell’energia, oltre a interruttori, commutatori, reostati, fusibili, con requisiti tecnici adeguati alle crescenti potenze impiegate. Negli anni compresi fra la prima e la seconda guerra mondiale, le leggi dell’autarchia imposero l’impiego di materiali “autarchici”; il marmo, l’ardesia, il legno furono sostituiti da materiali più economici come, ad esempio, la bachelite, resina sintetica molto leggera, dotata di un elevato potere isolante.
Interruttori, commutatori, fusibili, misuratori di corrente, ecc. venivano mostrati agli studenti a dimostrazione dei progressi della scienza e della tecnologia.